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La storia di Marcella

Marcella ci ha raccontato la sua esperienza come paziente nell’Hospice Antea e l’importanza di testimoniare l’impegno degli operatori.

 Originaria di un piccolo paese in provincia di Ravenna, subito dopo la maturità se n’è andata e ha iniziato un viaggio che è durato oltre cinquant’anni. Ha eletto Roma a sua città e ha dedicato gran parte della sua vita agli studi sull’Africa e il Medio Oriente e all’insegnamento all’Università.

Ad Antea ha cominciato un’altra parte del suo viaggio, che lei ha descritto come un’«esperienza umana che mi interessa: ho accettato di raccontare di me perché mi hanno convinta l’ambiente, le persone, le finalità di Antea. Venivo da un periodo traumatico vissuto in ospedale, dove ho percepito disattenzione verso le mie esigenze. Qui ad Antea sento che i miei bisogni sono ascoltati, apprezzo in particolare la gentilezza e l’umanità degli operatori».

Marcella era solita mantenere uno sguardo esterno sulle cose, le piaceva osservare: forse è stato questo il suo segreto per «rielaborare la mia vita e vedere questo momento come un’opportunità. Non ho una visione horror di quello che mi sta accadendo, sto anzi sviluppando delle parti di me che fin qui non avevo espresso. Con gli altri pazienti ho cercato da subito di creare un ambiente amichevole, di socialità».

Non appena è arrivata l’operatrice socio-sanitaria Silvia in stanza, Marcella ha descritto lei e i suoi colleghi come meravigliosi, per la rapidità e la sensibilità con cui si dedicano agli assistiti: era colpita dal fatto che il lavoro di équipe di tutti gli operatori permetta ai medici e agli infermieri di essere puntualmente informati su qualsiasi nuova necessità emersa. Per un paziente è un sollievo non dover ripetere ogni volta di cosa ha bisogno!

Ci ha raccontato poi delle attività di gruppo a cui partecipava. Quando poteva faceva ginnastica, ma è parlando della musicoterapia che le si sono illuminati gli occhi. Agli incontri gli altri ospiti dell’Hospice fanno una «gran caciara»: per esempio alla sua vicina di stanza di 100 anni bastava avere in mano delle maracas per tornare di colpo una ragazzina!

La musica è una maniera per giocare e al tempo stesso «scassa l’equilibrio delle persone, apre dei cassetti, delle esperienze personali e complesse». C’è grande rispetto da parte degli operatori di fronte alla commozione generata dall’ascolto di un determinato brano: Marcella non ha dovuto spiegare la commozione provata sentendo il Leoncavallo cantato da Pavarotti ed è stato giusto così.

 

Ad Antea non sono previsti limiti di orario per le visite ai pazienti e da Marcella c’era spesso un via vai di studenti che la venivano a trovare da tutta Europa. Con loro ha sentito davvero di aver seminato bene e di aver raccolto i frutti di tanta dedizione al proprio lavoro.

Il giardino è la parte dell’Hospice che preferiva: lì si sentiva libera di respirare a fondo, di rielaborare ciò che stava vivendo. 

«In Hospice ho trovato la capacità di essere empatici in una situazione come quella dei malati inguaribili, che è la più delicata possibile. Gli operatori sanno andare al nocciolo della vita».

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